Disturbi alimentari: perché è fondamentale lavorare sul rapporto con cibo e corpo
I disturbi alimentari non riguardano solo il cibo, il peso e il corpo
Sento molto spesso colleghə pronunciare queste parole, e hanno ragione: i disturbi alimentari – e in generale le difficoltà con il cibo – portano un mondo con sé. Dentro un disturbo alimentare ci sono emozioni, traumi, relazioni, strategie di sopravvivenza, credenze profonde sul proprio valore e sul controllo.
Questo, però, fa sì che spesso di cibo, peso e corpo in terapia non se ne parla proprio (o solo marginalmente) e, pur migliorando sotto tanti aspetti, la persona rimane incastrata nei soliti meccanismi. Si lavora infatti su ciò che c’è “dietro” al sintomo, ma non sempre sul sintomo stesso – come se parlare di cibo o corpo fosse riduttivo, quasi un modo per rimanere in superficie.
La falla nel sistema è facile da trovare: i disturbi alimentari non riguardano solo cibo, peso e corpo… ma li riguardano eccome!
Il rapporto con il cibo, con il corpo e con il peso è il terreno in cui il disturbo nasce, cresce e trova le sue conferme quotidiane. Le difficoltà in queste sfere sono nutrimento per il disturbo ed è quindi fondamentale affrontarle in terapia. Ignorarle significa lasciare in vita il suo linguaggio principale: quello che si esprime attraverso il corpo, il controllo, la restrizione o la perdita di controllo.
A dircelo è la ricerca scientifica, a confermarcelo l’esperienza clinica.
Diversi studi sottolineano come gli interventi che integrano componenti cognitive, corporee ed esperienziali – come la terapia cognitivo-comportamentale per i disturbi alimentari (CBT-E) e la Mindful Eating – favoriscano cambiamenti più stabili nel tempo, perché aiutano la persona non solo a modificare pensieri e comportamenti disfunzionali, ma anche a costruire una relazione più flessibile e compassionevole con sé stessa.
Nel mio piccolo, posso affermare che la maggior parte delle persone con un disturbo alimentare (o strascichi di esso) che arriva nel mio studio ha alle spalle almeno un percorso psicologico. Spesso si tratta di percorsi che hanno portato grande consapevolezza e sollievo, ma che non sono riusciti a sciogliere del tutto il nodo del rapporto con il corpo e con il cibo.
Ho perso il conto delle volte che ho sentito queste parole:
“I percorsi precedenti mi hanno aiutato tantissimo su molti aspetti, ma sento che mi manca ancora un pezzo”
Quel “pezzo mancante” è il lavoro sul e con il corpo: imparare ad ascoltarlo, rispettarlo, nutrirlo senza paura o giudizio.
Per uscire davvero da un disturbo o da un disordine alimentare serve aver sviluppato un rapporto sereno con il cibo, libero da regole e guidato dalla connessione con i propri bisogni, e con le forme e dimensioni del corpo, che smettono di essere la misura del proprio valore.
Ecco perché, come psicologa, ho deciso di occuparmi di alimentazione consapevole e immagine corporea.
Per far sì che sempre più persone possano liberarsi una volta per tutte dalle catene del proprio disturbo. E tornare a vivere il cibo – e sé stesse – con consapevolezza, rispetto e libertà.


